sabato 3 marzo 2012

triad of poems


Nell’aria

Ed ecco nell'aria, la musica, il sapore di te, mordo lacci di tempo, tocco i capelli, ti abbraccio e ti sento mio. Fronde leggere si baciano al sole, fiori di marzo si affacciano al mondo. Sempre il pensiero mi avverte di te, da avversi momenti ci avvisa, e ci offre la nuda realtà. Torno dal sonno, ti guardo, mi giro e son nata.

 

Notte accesa

Caldo vento, sogno, fumo, aria spenta, laccio sciolto.
Lucida polvere e ovattati silenzi, lunga notte, scuro mattino.
Lieve si alza, ali di ferro e ghiaccio, si libra immobile, per ore, sospeso.

Poi, la lunga discesa verso posti ormai raggiunti, prima distanti.
Cala la sera, dopo il tramonto, e tiepide braccia abbracciano i mille ritorni amorosi.

Non tutti chiusi

Non tutti chiusi, gli occhi e le palpebre
e i pugni che scrivono
non tutti chiusi
al sole e sotto gentili fronde
e sabbiose strade.

Tintinnio d'estate,
ricordo di matrimonio
subitaneo e serale.

Le vesti larghe e aperte,
allargano il solco del viso e dei lunghi sorrisi.

Aperta quindi la finestra,
la donna si pose a mirar l'orizzonte.
Oltre sè vide il resto, gli odori, i colori,
gli uccelli e il mare.
Sospinte dal vento e slegate da riva,
si gonfiano e sgonfiano vele,
e piccoli rivoli appaiono a lucidare il mare.
E' giorno dunque, la mano scandisce momenti tonali.
E' giorno e si aprono gli occhi e il cuore e la mente svegliano gli animi carichi di sonno.
Non tutti, dissi, non tutti, ancora alcuni, dissi, dormono ancora.
Altri, già sognano strade diverse in posti non noti.
Abbiamo sostato in più punti, che ora appartengono agli altri, e noi non siamo più li, ma quei luoghi sanno di noi, hanno il nostro odore, profumo, sapore, e sembra di poterli toccare, saggiare, sentire.

La donna guardò ancora il mare, poi chiuse le imposte e prese le chiavi. Con la borsa e gli occhiali da sole, ed in testa un cappello. scivolò via di casa, entrando nel mondo di fuori.


di longo il mar


Di Longo il Mar


È li che sorge il sole
 Sassi, siepe e calore
Pioggia che cade e il tepore si infrange, flutto di un
Arido fiume; leggiadra neve, si posa di notte.
Onda sul mare, che spinge barca e risacca,
Ghiaccio, luce e fioco rossore;
Lento tramonto, alberi al sole,
Brina, sabbia, nebbia e foschia, ricordo..un mattino..
‘Pioggerellina..Fina fina’..come la bruma e la pioggia d’aprile, è li, che torna la sera, irrorata di stelle.

non posa


Non posa



Non posa, risuona, nell’atrio, la vecchia campana.
Mai stanca, la mamma lavora di primo mattino,
Ben pronto si affaccia il destino.
Di giorni festosi e di lazzi gioiosi,
Di lievi o affannose fatiche,
Di lenti sbadigli, frammisti all’odore del sonno.

Stanco, il vecchio si allaccia le scarpe, si guarda e, impettito, scruta i segni del mondo, e il suo volto riflesso in un secchio. L’acqua, traspare di pietra in pietra, bagna il monte, disseta la gente. Piano, freme la foglia, e canta col vento che abbraccia la valle.

Il folto bosco accarezza i petali di mille fiori, che presto, colorano il prato.
La stanca farfalla si affida al meriggio, e fragile e antica, tocca l’erba e si libra a mezz’aria.  

Pochi, radi capelli, che il pettine a stento raccoglie.
Il vecchio esce di casa, con lenti passi scende le scale e si porta al pianterreno.
Con forza imprevista, apre il grosso portone ed emerge, raccolto da panni ormai lisi.

Ecco di nuovo il bavero, la giacca, l’incedere sghembo, e il lezzo dei vicoli attorno al vecchio casato, che fu di nobili un tempo, e che egli acquistò.

Una volta per strada, si dirige in città.

Certo, calata la sera, poche stelle si fingono ancora sopite.
La luna si affaccia a guardare la notte, il vecchio, e il mondo che torna da perigliosi affanni.
Il lungo lavoro diurno contrasta e rinfranca isolati notturni pensieri. Il vecchio guadagna i suoi sogni, respira, e guarda al mattino con occhi più mesti.  

Con mezzi non certi costruisce, a fatica, un pur vero futuro.
 La sfida del sogno diviene realtà.

rage (infuriata)


Rage  (infuriata)

La rabbia
L’inferno
La neve, la nebbia,
Il ritorno.

La siepe
Il solaio
La luce
Il chiarore.

Li giunti dormimmo,
Lui sulla panchina,
Io stanca, dipingo,
In riva, pastelli e colori vivaci.

La pioggia, la bruma, la brina ed il freddo
Si sciolgono, e insieme, si mischiano al vento.

Ritrovo il cammino, nel ghiaccio salato di un mare sabbioso –
Sotto mille sguardi, e mille fragori.
Per finta, per scherzo, è arrivato l’inverno.

improvviso silenzio


Improvviso Silenzio

Uno strano, lontano piacere
Mi rischiara l’animo, e mi sveglia il cuore.
Un sopito, improvviso silenzio, un battito d’ali, onda che mangia la spiaggia.
Fremito, tremito, poi l’alba,
Torna a domare
Il frastuono che ho intorno.

Il dolce sapore di te
Mi legge negli occhi,
Mi conta le stelle,
Mi scuote con rabbia.

Ascolto parole dorate
Del frastuono del mare. 
Lontano, nel buio, nel sogno,
Un sospiro, un frammento, un ricordo.

Il fruscio del vento, gli scuri stipiti della porta,
Aperta a metà, socchiusa, del cuore.
Ti guardo, ti sento e respiro.
La luce da dentro traspare.
Affiora, fioco, il lento dolore,
E la lieve, triste sponda frange i miei flutti.
Da qualche parte, un giorno, lo so,
Saremo insieme.

assoluto silenzio


Assoluto silenzio

L’assoluto silenzio, la mancanza estrema
di un qualsivoglia flebile, malcelato segno, distrugge, nella quiete, i nostri cuori.

Si perdono gli animi, e il vero nemico è il destino avverso di chi ci sta intorno.
In battaglia o in guerra, non si va mai soli. Se un cencioso stendardo onore non fa alla sua terra, la vittoria gli ridà la gloria, e il suo popolo ritrova comune afflato.

Il vecchio piega il foglio antico, da immemori anni rinchiuso nel cassetto intarsiato in legno scuro. A grandi lettere, sedata, la sua grafia. Giovane, appose egli allora gli affastellati pensieri poetanti.

Rigira il foglio tra le mani, per metà tinto di grigio e ocra, certo dovuto a sigari e cenere di venti e più anni or sono. Ricordò con quale penna e in che stanza fu scritto. Le opposte mozioni, i fischi, le grida, le promesse disdette, le minacce, il turpiloquio, l’offesa. L’orgoglio e la pena.

Fu come un istante, rivide sua moglie al suo fianco. Si lasciarono come si lascia un lungo, caldo sogno. Lieta figura di coppia rappresa, incastonata nella cornice nuziale. Gabbia dell’anima, quella. Come guado insicuro, o sabbie mobili, fu rada e perdurante illusione. Sempre tesa all’orizzonte, che diventa sabbia e pietre, e mare, e sale e sole.

Sentiva, ella ormai, di non sentire più. Di non vedere più. La morte e la notte pensarono a strappargli quel sogno. Il suo seguito, cifra vitale, veglia sangue e dolore che pulsa in vene bluastre, fu il prosieguo e l’ignoto.

Il vecchio posò il foglio, sentì il suo fiato nel fumo del sigaro, seppe distinguere il suo nome da quello di tanti altri, giovani, bimbi, donne, uomini, che sanno contare le stelle, seguire e descrivere i segni del cielo in mille colori, e pregare ‘Dio nostro, il Signore Gesù’. Si alzò, posò la giacca, e tornò a sognare.