sabato 14 dicembre 2013

Infinitedom

Please,
 Don't wage a war for every word I say -

Knowing nothing would issue,
And everything must come forth nonetheless,
It seems to me a fruitless effort.
Perhaps, I'm fighting some faraway forgotten ghost -
drawing its eerie lymph from my painful thoughts and dreams.
Like most, I shall be remembered in paint and picture,
not by my emptied out shell, or in pain.
Then, my soul will be at rest, easy, like a barge swiftly crossing the waters of an Infinitedom.

mercoledì 11 dicembre 2013

-Si -

C'è sempre un altro 'dove'
Nell'alto angolo buio dei miei pensieri -

Che rovistano da sempre nei molti veri, muti sguardi,
E che si specchiano nei tuoi tanti finti 'no',
Scovati all'improvviso, nel fondo dei tuoi occhi.

Il nostro lento andare avanti,
Nelle ruote ferme e stanche di un arrugginito esistere,
Descrive il movimento del nostro animo vergato e fisso, che si declina in sole, poche rune antiche.

I battiti e i fremiti del nostro cuore, sono tutti racchiusi e compresi
Nelle stesse iridi scure di quel bimbo laggiù,
Che per sempre, per noi, sorriderà si spera, delle nostre dolci tristezze melanconiche.

lunedì 18 novembre 2013



Dietro ogni parola c’è un punto insicuro, segreto, proibito.
Dietro ogni segno una luce, un sospiro, un pensiero.
Discernere diviene d’improvviso difficile,
la cernita, lenta, spoglia il frutto,
 lasciandone solo il centro succoso, e pregno di nutrimento.
Così la vita, ci toglie poco a poco, goccia a goccia, momenti dell’esistere,
per donarcene di nuovi, che non conosciamo, come un racconto letto a metà.
Torniamo ogni giorno, e dopo il mare e il sole, il gelo la nebbia, la neve, troviamo sempre l’albero, la siepe, l’abbraccio, l’incontro amoroso. La tenda e il sipario lavorano per rivelarci la maschera, il giorno, la pioggia o il tragico epilogo, che i nostri occhi sono spesso costretti a notare.
Altri, per noi, danno voce a parole non vorremmo mai dire. Altri, ci portano immagini, suoni che oppongono ai nostri visi altri volti, diverse parole, nuovi mondi.

sabato 16 novembre 2013




Marta e il temporale.

Erano trascorsi due giorni da quando si erano sentiti l’ultima volta. Lei alle volte suo marito non lo capiva. Il temporale della notte precedente l’aiutò a schiarirsi le idee, che invece l’alcol aveva contribuito ad offuscare. Scese in spiaggia, e per la prima volta dopo molti anni, sentì una brezza settembrina accarezzarle la pelle, ed asciugarle le lacrime. Non riusciva a non pensare a ciò che aveva visto, alle parole di suo padre, e alla donna che, ne era sicura, avrebbe voluto tarparle le ali, per sempre. In sua presenza, si sentiva soffocare, annullata dalla persona che per tanti anni aveva considerato una fidata segretaria, e un’amica. Solo qualche mese fa, tuttavia, l’aveva scovata dietro il suo giardino a fare la spia. Una sera suo padre, accendendo il sigaro, le disse di aver visto della gente dietro casa, di chiudere bene a chiave al ritorno dal lavoro, e di aprire solo dopo aver chiesto chi fosse. Loro non erano soliti vivere li, vi ci si erano trasferiti da qualche tempo, al seguito della triste scomparsa di sua madre, una signora meravigliosa, che aveva lasciato un segno profondo nella sua vita e nella sua educazione. Non sopportavano di continuare a vivere nella vecchia casa cittadina, che peraltro, senza ascensore, era diventata oramai impervia per via dei quattro piani che suo padre faticava a salire per le scale. Perciò, da circa un anno, vivevano temporaneamente nella loro casa vicino al mare, in attesa che qualche nuova offerta di lavoro le permettesse di trasferirsi in un’altra città, Rovigo, Pistoia o Firenze. Sulla costa, si sa, c’era meno lavoro, e d’inverno tutto chiudeva, a parte quel triste andirivieni di autobus e macchine che andavano sempre altrove. Si, aveva la sensazione di vivere in un posto vuoto, fatto di case vuote, di gente vuota, senza sogni, senza un vero avvenire. Ma stamani, dopo la burrasca, quella brezza fresca e gentile la riportò al suo passato di bambina, e un pò la riconciliò con la torrida estate che stava attraversando, quel caldo ponte che divide la vita frenetica degli impiegati a contratto dalla noia dei cani assonnati che si aggirano alla ricerca di un pò d’ombra, e guaiscono quando ti vedono in giardino, sotto l’albero, al fresco.
Non c’erano navi all’orizzonte, segno certo che il maltempo aveva messo in fuga anche i pezzi grossi, dagli armatori ai commercianti con le enormi navi-cargo, che avevano scelto rotte diverse per ovviare al mal di mare.  Pina, la segretaria cui lei aveva confidato tante sue incertezze, si era dimostrata una gran cialtrona, avvertendo il capo di ogni suo movimento, di ogni piccola spesuccia, o di ogni sua uscita galante. Marta si accorse di essere spiata quando un giorno dal bagno, dietro la tenda della doccia, aveva scorto la chioma ribelle di Lina attraverso la finestra. Cosa ci faceva li, la signora Pina? Con una scusa, la chiamò parlando di alcuni fascicoli importanti di lavoro, disse che servivano della firme. Poi, con nonchalance, le chiese dove fosse, dicendole che se era in vacanza non ci sarebbero stati problemi. La Lina si tradì, volendo sembrare più ossequiosa e onesta del solito, e disse il vero, era proprio li alla marina, cosa che confermò il suo timore di averla scorta a fare la spia dietro casa sua. Non c’erano negozi nè altre abitazioni dietro il muro che divideva la sua stanza da bagno dal resto della casa, e nemmeno di fronte al giardino. L’unico luogo che avrebbe potuto attirare delle persone era la spiaggia, a circa un chilometro da casa sua, ma nell’altra direzione rispetto al lato della casa dove si trovava il suo bagno. Il piccolo viottolo dietro la sua casa portava solo al retrocucina, un vecchio stanzone nel sottoscala dove tenevano delle scorte di aqua e altri beni di prima necessità, dato che d’estate nei posti di mare spesso mancava luce, acqua e benzina, per cui era molto difficile riuscire a trovare un negozio aperto. Anche il corso principale del paese, si trovava in direzione completamente opposta, a nord rispetto al piano ortogonale che definiva il pezzetto di terra su cui dieci anni fa fu costruita la casa che suo padre acquistò. Ma Marta era certa che Lina si trovava proprio in quel viottolo. Lina, alla sua domanda rispose bruscamente, dopo essersi schiarita la voce un paio di volte, e disse di essere appena arrivata, ma che avrebbe subito cercato i documenti da validare. ‘Non si preoccupi, signora,’ disse Marta, ‘li ho qui sul computer, li farò stampare e poi gliene farò avere delle copie, che la prego di divulgare ai nostri colleghi’. Con un rapido saluto terminò la telefonata, e incredula, cominciò a dubitare della sua capacità di comprendere ciò che le stava accadendo. Poi c’era la questione relativa al signor Dorti. Una persona davvero orribile, insopportabile, che aveva cominciato a tartassarla di domande da qualche settimana. Domande di ogni tipo, dal ‘posso portarla a cinema’ a ‘cosa preferisce, pranzo dal Braghi o cena da Mordissimo’? non sopportava questo strano personaggio che la ossessionava con le sue telefonate, le sue strane attenzioni, e che si rifiutava di capire che lei non era interessata a lui, ma al suo uomo, lontano, che amava profondamente, e da cui non avrebbe mai voluto slegarsi. Il sig. Dorti era un funzionario alle dipendenze di suo padre quando ella era ancora ragazza, che crebbe di rilievo nel suo ambito d’ufficio grazie a suo padre, uomo per cui egli era diventato un vero e proprio idolo. Una volta in pensione, suo padre rifiutò ulteriori contatti con Dorti, ma questi si impuntò a telefonare di continuo, importunando lei, che gli faceva da segretaria dicendo che non era in casa. Erano circa dieci anni che lui le faceva una corte indecente e che lei senza alcuna esitazione continuava a rifiutare, ridendone con le amiche a cena, odiandolo quando egli si presentava in modo maldestro a far capire che c’era del tenero, e bugiardamente, le afferrava la mano fingendo romanticherie. Lei aveva finalmente trovato il coraggio l’altra sera di dirlo al suo fidanzato, ma temeva ora che questi, sprovvedutamente, potesse andare da Dorti e dargli una lezione. Sentiva il peso dell’aver deciso di parlare, consapevole che lui, detto dagli amici  ‘il pescecane’ scherzosamente, dato il suo carattere avventato, gelosissimo, avrebbe voluto una rivalsa amorosa. Scopri, così, che la Lina passava anche a lui il dettaglio di tutte le sue telefonate, e si sentì profondamente tradita anche da suo marito. Si perchè Stanislao, dirigente d’impresa, a sua insaputa l’aveva assoldata dato che il suo capo gli aveva detto che le due erano entrate in confidenza. La consapevolezza di quanto suo marito volesse tenerla sott’occhio generava in lei sentimenti che ella stessa stentava a riconoscere. Si guardò allo specchio, sentendosi un pò stordita dal sonno, prese il caffè che freddatosi era anche più appetibile, e tornò in spiaggia per decidere sul da farsi.  Pensò ma perchè? Stanislao non poteva certo aver dubitato di lei. Allora forse era per proteggerla, ma da chi? Da Dorti? O da qualcuno di cui ella non sapeva? Cosa stava veramente accadendo, e perchè lei veniva tenuta sempre all’oscuro di tutto? Anche quel commento di suo padre, sulle possibili aggressioni in casa, aveva qualcosa a che fare con tutta quella situazione? E cosa c’entrava il signor Edergard, vicino di casa francofono, che una volta sulla spiaggia, salutandola, le disse, ‘signora, saluti tanto suo marito, e per quella questione gli dica di stare tranquillo, lui sa già di cosa si tratta’. Quando chiese a Stanislao lui fu molto evasivo, più del solito, dicendo ‘non parliamone ora, aspetta che torni dal lavoro domani, e che mi riposi poi ti dirò’. Ma c’era un’altra cosa che lei aveva scoperto da non molto: i signori Edergard erano li già prima che loro vi si trasferissero, e la signora, molto dotta, forse un avvocato o un’insegnante, aveva un fitto giro di amicizie importanti nella zona, non ultima la famiglia del suo capo, che spesso si intratteneva da loro nel giardino o al ristorante. Anche la sera precedente aveva avuto modo di notarlo, forse allora gli Edergard conoscevano anche la Pina? Mentre si trastullava con queste idee,  vide scurirsi il cielo, e di li a poco, vento e nubi tornarono, costringendola a rientrare in fretta. Il mare oggi era diverso infatti, anche l’odore della salsedine e delle sedie abbandonate al sole era cambiato, come un’odore di muffa e di umido misto ad altri elementi marini. Ma lei non avrebbe certo lasciato che tutto ciò la deprimesse. A casa, aspettando suo padre, iniziò un nuovo dipinto. Certo, i temporali avevano un effetto strano su di lei. C’era un qualche nesso che le sfuggiva al momento, ma di sicuro prima o poi avrebbe capito. E in effetti capì. Ma molti anni dopo, quando il fatto stesso di aver compreso quello strano andirivieni di personaggi effimeri e falsamente interessati alla sua persona non aveva ormai più alcun rilievo. Suo padre morì di li a poco in un incidente stradale, e lei nella disperazione, aveva convinto Stanislao a vendere la casa al mare e a comprarne una in montagna, ove si trasferirono nel giro di pochi mesi. Nel frattempo era anche nato suo figlio Marcello, e appena svuotata dal pancione da puerpera dovette, suo malgrado ricominciare a lavorare sodo.


Senza dolore

Sprofondare nella notte più profonda,
E non svegliarsi più, mai più.
Senza dolore ,
Affondare nel mare più argentato,
E non tornare più, mai più.
Senza dolore.
Io urlo senza dolore,
il dolore lo immagino – un’immagine che fa male.
Un dolore futuro, da silenziare, da cancellare.
Risale i percorsi dell’anima,
la memoria, è vero, non appartiene a me.

martedì 29 ottobre 2013

1980

Rammento.
L'unico bagliore, quel giorno, proveniva dal basso. Le campane smisero di suonare.
Frammento serale di un giorno d'autunno. Lui, la calca e le grida, forse non le vedrà mai. I cani abbaiavano continuamente in modo frenetico e gli stormi degli uccelli si libravano nell'aria fresca. I gatti scappavano, e noi poveri bimbi, non potevamo rincorrerli, andavano troppo veloce.
Da allora, invento un incubo al giorno, per ripararmi dal sogno interrotto. La gente legge con gli occhi, si muove, ascolta i rumori e sente gli odori. Prova odio, amore e dolore, rancore, gioia e dorme di un sonno profondo. Poi si sveglia, in ansia, e guarda all'avvenire. Rammento.  


geloso

Il geloso
E la macchina da scrivere
Sul ripiano in fondo al corridoio
La piuma e l’inchiostro nella boccetta sul tavolo,  ricordo di segni e voci lontane.
Frammenti di sogno interrotto dal tempo, vento dietro le tende, tuoni che squarciano il cielo e descrivono i nostri stati d’animo alle stelle,  che poche parole riescono a far riemergere, ogni sera.
Il quadro mi guarda, velato da polvere antica, nei bordi delle cornici. Il trucco cela a malapena la stanca  espressione del volto, e i vestiti sembrano vecchi e dismess,i indossati tutto il giorno, come un’uniforme. Non v’è traccia di una seconda vita, celata agli occhi che tanto amore versarono in lagrime di disperazione.

martedì 13 agosto 2013

quel giorno di vento non ce n'era. Neanche un filo. Entrò nella stanza e tossì, facendo rimbombare il colpo di tosse per tutto l'atrio e il soffitto della casa antica. Poi trovò finalmente, nel sottoscala, la valigia e le altre cose che erano rimaste li  - la penna, lo stantuffo stanco d'inchistro con cui egli spesso la riempiva, per far sgorgare da lei quella linfa alfabetica che si assorbiva nella carta lasciando sbaffi blu qui e li, come su di un compito fatto male. Cercò il guanto anche in soffitta, ma non lo trovò. La casa, di li a poco, sarebbe stata calcata da altri passi, ed altri odori l'avrebbero poi caratterizzata, diventando un'altro ambiente, non più riconoscibile. Eppure, molti odori sarebbero rimasti in memoria, incancellabili, come quello della stufa appena accesa, oppure quello del ragù che difficilmente potrebbe assomigliare alla cucina di chi ci sarebbe entrato. Ricordò anche che la penna era appartenuta a sua nonna, come il bastone con il capo d'argento, il servizio da tavola, l'argenteria. Avrebbero venduto tutto, e solo alcuni antichi mobili sarebbero rimasti nell'altra casa, quella appena acquistata, per ricordo, nostalgico, di un mondo antico che fa venire ancora oggi il nodo alla gola. Non c'è più quel luogo, se non nel ricordo. Non c'è più quel sapore, quella voce, e neppure quel dolore o quel fastidio. Non c'è più, tranne dei nomi in atti d'archivio conservati in chissà quali uffici provinciali. Così decise che almeno la penna se la sarebbe tenuta. La pelliccia l'avrebbe data a sua moglie, che comunque non l'avrebbe indossata, lei che proprio di pellicce non avrebbe mai voluto sentir parlare. Meglio un bel gioiello, l'aveva sempre sentita dire. Ma decise che ogni tanto un regalo non desiderato poteva essere un modo di trasmettere il senso di quell'esistenza dei tempi andati. Una porzione di storia, così, che non sarebbe mai stata vergata in lettere, che non avrebbe mai incontrato l'interesse del pubblico o dei media, una frazione di vita, di mondo, cancellata senza alcuna preoccupazione. Poi prese il berretto e il cappotto, e si diresse, lento, verso la porta anteriore, dando ancora uno sguardo incerto alle pareti, alla scala, al sottotetto, e al tappeto sporco che di li a poco sarebbe stato staccato definitivamente dal pavimento per essere sostituito, forse, da un magro parquet. 

mercoledì 19 giugno 2013

di questi tempi credo che questa sia una giusta autocitazione..self-quoting is always a bit more fun..:)

'Issuing forth'

Issuing forth
from behind a dream
all in, all out
and the water
the drenching water
gushing out like transparent blood
leaking through my vest
all the way
to the floor
as it issues from me.

Bits of me, there,
me, not touching you. And you there.
Here. Mind never quite sure, of what, a dream, a nightmare, or a spy, of my thoughts, of my every thought, and from my eyes straight to the innermost portion of my shaken soul.

I was there, searching my every word, looking for a tear uncried, and an unbroken dream.
Gusts of wind near my body, sea-side flip flops, sand, cloth, wood, rubber and..my self, my life and you.

Shreds of torn paper,
Handwritten notes, a diary,
Info on a page.
All the rest a shambles, an empty unwashed tea-cup, and you there, eating your sandwich by the telly, watching the news.


She kept getting suggestions, day after day, that life wasn’t just what her eyes presented her with. She began to think past vision and into dreams, of a world in which she was walking as if in a deluded state or blind-folded. She could hardly breathe when such thoughts possessed her. On occasion, she would feel lightheaded and need a touch of something to get her back into shape. It was as if she had to force herself to stay alive, the very materiality of life surrounding her was escaping and dissipating – and people weren’t being much help in turn.  She felt she could go any minute, when she thought about that. But somehow she still survived the strange reverie and managed to step past the frantic threshold of unreal dreams. Ghosts became part of her daily life. She kept chasing them away.