Non posa
Non posa, risuona, nell’atrio, la vecchia campana.
Mai stanca, la mamma lavora di primo mattino,
Ben pronto si affaccia il destino.
Di giorni festosi e di lazzi gioiosi,
Di lievi o affannose fatiche,
Di lenti sbadigli, frammisti all’odore del sonno.
Stanco, il vecchio si allaccia le scarpe, si guarda e,
impettito, scruta i segni del mondo, e il suo volto riflesso in un secchio.
L’acqua, traspare di pietra in pietra, bagna il monte, disseta la gente. Piano,
freme la foglia, e canta col vento che abbraccia la valle.
Il folto bosco accarezza i petali di mille fiori, che presto,
colorano il prato.
La stanca farfalla si affida al meriggio, e fragile e
antica, tocca l’erba e si libra a mezz’aria.
Pochi, radi capelli, che il pettine a stento raccoglie.
Il vecchio esce di casa, con lenti passi scende le scale e si
porta al pianterreno.
Con forza imprevista, apre il grosso portone ed emerge,
raccolto da panni ormai lisi.
Ecco di nuovo il bavero, la giacca, l’incedere sghembo, e il
lezzo dei vicoli attorno al vecchio casato, che fu di nobili un tempo, e che
egli acquistò.
Una volta per strada, si dirige
in città.
Certo, calata la sera, poche stelle si fingono ancora
sopite.
La luna si affaccia a guardare la notte, il vecchio, e il
mondo che torna da perigliosi affanni.
Il lungo lavoro diurno contrasta e rinfranca isolati
notturni pensieri. Il vecchio guadagna i suoi sogni, respira, e guarda al
mattino con occhi più mesti.
Con mezzi non certi costruisce, a fatica, un pur vero
futuro.
La sfida del sogno
diviene realtà.
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